a cura di Claudia Morgan
L'articolo compare sotto la voce Appendice sul periodico di stretta osservanza governativa l'Osservatore triestino il 21 marzo 1839, ma è inserito nella prima pagina, così da catturare l'attenzione anche del più distratto lettore.
Già dal titolo avvertiamo che Trieste segue le novità o per lo meno c'è chi si prende l'incarico – un anonimo giornalista – di informare i lettori sulle più recenti scoperte tecnologiche in un campo che può incuriosire artisti, fisici, ottici oltre a ricchi dilettanti. Lo studioso - oso definirlo - descrive accuratamente le procedure per ottenere dagherrotipi, continuando però a chiamarli disegni e a paragonarli all'acquatinta priva però dei colori. Il nostro anonimo giornalista ricorda le figure intervenute nel tempo a confermare e ad attribuire gli onori a Daguerre, i tre noti esperti in discipline diverse cioè il naturalista Alexander von Humboldt (1), il fisico Jean Baptiste Biot e il fisico matematico astronomo, nonché politico François Arago.
Ma il nostro relatore si sofferma non casualmente su due italiani del passato.
Ricorda l'invenzione della Camera oscura dovuta a Giambattista della Porta nel 1558 (2) e – cent'anni più tardi - l'accurata procedura del “modo di trasportare qualsiasi figura disegnata in carta, mediante i raggi solari” così ben descritta in un volumetto di Marco Antonio Cellio (3) edito a Roma nel 1686.
“Il primo chiaro riferimento all’uso della camera oscura per fini pittorici – che tuttavia non implica un effettivo utilizzo da parte dei pittori – si trova nella Magia Naturalis di Giambattista Della Porta edita nel 1558. Della Porta è anche uno dei primi autori a menzionare l’uso della lente per intensificare la nitidezza delle immagini.” in <https://redi.imss.fi.it/invenzioni/index.php/Camera_oscura>
“...oscuro e geniale scienziato seicentesco, inventore di una "macchina per disegnare" basata su ingegnose proiezioni di specchi; un marchingegno che, due secoli dopo, avrebbe addirittura messo in dubbio la priorità della "maravigliosa invenzione" del francese Daguerre” scopre Italo Zannier, e lo segnala in Il sogno della fotografia, Milano : Skira editore, 2005. Il nostro giornalista anonimo l'ha scoperto ben prima!
E' chiaro ormai che persino persone sprovviste di talento artistico avrebbero potuto, con una minima pratica, fare fotografie di paesaggi e ritratti migliori dei più bei disegni.
Non c'è da stupirsi che questa possibilità sarà recepita immediatamente e di conseguenza innescherà un'immediata avversione nelle autorità delle Belle Arti.
Inizia una guerra protratta nel tempo fra la pittura e la fotografia, che si batte per essere riconosciuta come arte a sé e a differenziarsi dalla pittura, ma avremo anche famosi cambi di rotta e pittori che diventano fotografi.
Si sottolinea un fatto spesso sottovalutato: per essere fotografo, agli inizi, era necessario procurarsi argento puro, lenti molate a mano e fotocamere di qualità, oltre che a uno studio e una camera oscura. Ordinare un ritratto dagherrotipo era quindi costoso. La fotografia era appannaggio dei ricchi.
Trieste non si sottrae alla nuova tecnica/arte, che nel giro di un anno, dal gennaio 1839 si propaga in tutta Europa.
L'articolo appare il 21 novembre 1839 anticipando la notizia di tre giorni rispetto alla Favilla.
Sono passato pochi mesi ma c'è chi ha voglia di sperimentare questa scoperta che sta catturando l'attenzione in tutta Europa. Daguerre inventa non solo la fotografia, ma anche la fotocamera.
La descrizione dell'esperimento avvenuto a Trieste, eseguito il 20 novembre, è essenziale, un puro dato informativo che rientra nello stile del quotidiano.
Carlo Antonio Fontana (1809-1886) rampollo della prestigiosa famiglia triestina ha all'epoca trent'anni.
Josef Kriehuber Giuseppe Tominz
Carlo Antonio Fontana Carlo Antonio Fontana
1839 1832
La litografia di Josef Kriehuber noto pittore austriaco conosciuto per i suoi ritratti eseguito con questa tecnica, riporta sotto la firma a destra la data 1839. Il ritratto ad olio su tela di Giuseppe Tominz è datato 1832.
La curiosità suscitata dalla dagherrotipia forse nasce dalla lettura del primo articolo.
Nel frattempo la produzione di apparecchi atti a ottenere le immagini da immortalare sui supporti, lastre o "cartoncini" come erano stati chiamati impropriamente, si è lanciata e lo stesso Daguerre si attiva subito, a giugno, firmando un contratto con due produttori, Alphons Giroud e i Susse Frères. .
Già dal 19 agosto è presente sul mercato un apparecchio per dagherrotipia, che rispetta il modello di Daguerre con tutta l'attrezzatura necessaria per il processo. Chi può permettersi l'acquisto del costoso apparecchio, scomodo e dedicato alla sola fotografia di ritratto e paesaggio, ne scoprirà presto i limiti, produce infatti pezzi unici in quanto impressiona una sola lastra, e l'immagine, che a seconda dell'angolo in cui viene visualizzata è positiva o negativa, è sempre con l'inversione destra-sinistra.
A Trieste uno dei primi sperimentatori opera già a novembre dello stesso anno e i periodici locali, l'Osservatore triestino e La Favilla ne danno ampio resoconto (1). La procedura è consueta, gli esperimenti si vuole renderli pubblici così da solleticare la curiosità popolare, è gia accaduto in altre città a Pisa, Torino, Milano da ottobre a novembre.
Il suo nome è Carlo Antonio Fontana (1809-1886) appartenente ad una ricca famiglia di imprenditori. Il primo fotografo dilettante che annovera la città, si può definire un trentenne intraprendente.
In Europa nel ventennio successivo gli appassionati alla tecnica fotografica si definiranno dilettanti e si individueranno tra nobili, benestanti, borghesi, professori e dottori, cultori delle arti, soprattutto pittori, artisti giovani e meno giovani. Gli ottici, i professionisti addetti ai lavori si autonomineranno dagherrotipisti e più tardi tout court fotografi pronti a lanciarsi sul mercato in quanto intuiscono la valenza commerciale della nuova tecnica.
A Trieste è il venditore di vedute, lo svizzero Giovanni Mollo (1799-1883), stabilitosi in città da Bellinzona dove aveva iniziato a lavorare dal 1826 nello stabilimento litografico dello zio e dopo la specializzazione nell'editoria musicale a Vienna, che annuncia la settimana precedente l'esperimento di Fontana la disponibilità di un apparecchio di Daguerre nel suo negozio in Corso (2) e il giovane uomo d'affari si affretta all'acquisto. Le sue prime prove su lastre argentate che, grazie alla stampa periodica, vengono segnalate e sottoposte al pubblico curioso con dovizia di particolari, sono semplici vedute delle colline ma anche di punti nevralgici della città, conservate dai discendenti della famiglia e non sono presenti nelle collezioni civiche.
Il 24 novembre 1839 a firma di Francesco Dall'Ongaro compare sul periodico La Favilla, n. 17 la descrizione degli esperimenti di Carlo Fontana sui dagherrotipi. L'autore descrive ben tre giornate, la prima di puri preparativi non andati a buon fine, la seconda e la terza con la realizzazione delle vedute. L'autore dell'articolo confessa di non conoscere i fenomeni chimici che hanno portato, dopo 14 anni di esperimenti, all'importante scoperta della dagherrotipia.
La conferma che Carlo Fontana si dilettasse con la fotografia negli anni successivi al 1839 mancava di prove, finché non mi si è presentata un'opportunità: ho avuto la fortuna di catalogare interamente l'Archivio fotografico della famiglia Sartorio in collaborazione con l'archivista Franca Tissi che mi aveva segnalato l'importanza di tale patrimonio, quasi unico.
Nel 1842 Carlo si dedica ai ritratti, produce un autoritratto, riprende la moglie Adele Reisden (3), e altri familiari.
Carlo Antonio Fontana autoritratto Adele Reisden moglie di Fontana, dagherrotipi, 1842
in Mostra retrospettiva del ritratto a cura del Circolo fotografico triestino 1968;
in Giuseppe Wulz. La fotografia a Trieste 1868-1918 / Claudio Magris ... [et al.]. - Torino : ERI, 1984, p. 77
Tra le migliaia di carte de visite dell'Archivio fotografico Sartorio, una si è rivelata alquanto interessante
Si tratta di un ritratto della famiglia Sartorio Fontana.
Immortala la sorella Giuseppina Fontana, sposata con Pietro Sartorio e i suoi quattro figli: la ripresa è all'aperto probabilmente nel giardino di casa, la villa di città oggi Museo Sartorio. Infatti sullo sfondo si scorge una finestra, la disposizione dei protagonisti è tale da rendere facile la posa. L'esposizione è in pieno sole. La carte de visite presenta una particolare rifilatura ottagonale, indizio che attira subito l'attenzione e che è la conferma si tratti della riproduzione di un dagherrotipo conservato nel suo astuccio. L'opera porta il logo del fotografo Giovanni Blason, che incontreremo ancora, di professione farmacista e medico, ma anche appassionato fotografo.
Ulteriore sorpresa i Fontana allo stesso fotografo hanno commissionato una copia colorata conservata in cornice.
Note
1. Osservatore triestino, 21 novembre 1839
Francesco Dall'Ongaro, Prime esperienze del daguerreotipo a Trieste in “La Favilla”, a. 4, n. 17 (24 novembre 1839), p. 134-135
2. Laura Paris, Immagini di un'epoca : l’opera di Giuseppe e Alberto Rieger nella Trieste ottocentesca, in MCCD1800, vol. 3 (luglio 2014), p. 81 nota su Giovanni Mollo
3. Antonio Giusa, Dagherrotipisti itineranti e dilettanti in Friuli e a Trieste in "L'Italia d'argento, 1839-1859: storia del dagherrotipo in Italia". Firenze : Alinari, 2003, p. 201
Fotografia in formato carte de visite del probabile dagherrotipo commissionata al fotografo Giovanni Blason che è stato abile a farne una copia eliminando gli effetti di luce riflessa.
[Archivio Sartorio]
Riproduzione colorata ad opera dello stesso fotografo in cornice.
[Fotografia personale]